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Elizabeth, il film della regina che sostituì la Madonna

ElizabethElizabeth, il film della regina che sostituì la Madonna

(Tratto dal quotidiano La Repubblica)
di IRENE BIGNARDI    

C’è una bellissima idea alla fine di Elizabeth, il sontuoso e romanzesco biopic su Elisabetta I firmato dall’indiano Shekhar Kapur, e arriva dopo due ore in cui tutto si può dire della grande Elisabetta – qui in versione giovane, visto che il film si ferma non molto dopo il 1554 in cui comincia -, salvo che si tratti di una mammola. Eppure il coup de thêatre che trasforma la bella e giovane eretica protestante nell’icona del potere regale che identifichiamo come Elisabetta è la riscoperta della verginità, o quanto meno del suo potere simbolico.

Accade nel momento in cui la rossocrinita figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, 25enne, protestante, assurta dopo la morte della sorellastra Maria la cattolica – o Bloody Mary – al rissoso e pericoloso trono di un’Inghilterra divisa da un feroce scontro religioso tra cattolici e protestanti, in una corte piena di veleni (non metaforici) e di trabocchetti, si interroga sulla sua difficile situazione e scopre che cosa deve fare. L’ispirazione le viene da una pallida, gessosa statua della Madonna. “Ho liberato l’Inghilterra della sua presenza”, dice grosso modo la giovane regina, capendo al tempo stesso che, agli occhi del suo popolo, deve prendere il posto di quell’intoccabile simbolo – e diventare così, in una spogliazione e vestizione che ricorda la presa del potere di Urbano VIII nel Galileo brechtiano, Elisabetta la Regina vergine.

Prima di questo snodo cruciale, a cui l’australiana Cate Blanchett presta tutta la sua sensibilità e la sua bravura (rinunciando al tempo stesso alla sua tizianesca bellezza per diventare l’astratta maschera bianca della regina), il film di Kapur è una vertiginosa carrellata attraverso un periodo di storia complesso e aggrovigliato, che il regista percorre sulla base della sceneggiatura di Michael Hirst con avventurosa disinvoltura, dando per certe cose che fanno ancora dannare gli storici (sarà stato davvero Robert Dudley, conte di Leicester, nel film Joseph Fiennes, il solo e carnale amore della regina?) e sintetizzando con spiccia efficacia cose molto complicate – che per la verità non sempre si colgono al meglio. E chi vuole farà bene a ripassare chi fossero Filippo di Spagna o il duca di Anjou.

Ma in realtà poco importa il profilo storico: Kapur, che di regine se ne intende (è suo il grande successo indiano Bandit Queen) gira la sua “infanzia di un capo” con sfacciata bravura, arrampicandosi in visioni zenitali, animando chiese e palazzi di un brulichio di complotti e di amori, dipingendo un rinascimento britannico che sembra ricostruito dal Veronese, offrendoci anche qualche brivido erotico (in piedi, come si usa da qualche tempo), una splendida scena di civetteria regale (Elisabetta e i vecchioni) e una sfilata di belle facce e bravi attori: da Richard Attenborough sempre più simile a Dotto, a Fanny Ardant, nel cammeo di Maria di Guisa, bianconerocrinita come Crudelia De Mon, ma più spiritosa.

(9 ottobre 1998)
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