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Vita di Virginia Woolf

Vita di Virginia WoolfVita di Virginia Woolf 

(Tratto dal sito MondoLibri.it)
La produzione di Virginia Woolf comprende racconti, romanzi, saggi e un vasto numero di articoli e recensioni. Comincia a collaborare a vari periodici poco più che ventenne, ma per la prima opera narrativa bisogna attendere il 1915 quando la scrittrice ha trentatré anni. Virginia nasce infatti a Londra il 25 gennaio 1882 in un ambiente coltissimo e benestante frequentato dai maggiori intellettuali dell’epoca. I genitori, entrambi al secondo matrimonio, sono Leslie Stephen, noto storico e critico letterario, e Julia Jackson Duckworth donna molto in vista nella società londinese.
   
    La formazione di Virginia è, secondo le regole del costume vittoriano, tipicamente femminile: poiché solo i maschi hanno diritto a un’istruzione pubblica, viene educata privatamente dai genitori e da tutori. Virginia cercherà di sopperire all’impossibilità di ricevere un’istruzione adeguata dedicandosi a una intensa attività di lettura e scrittura. Tramite il fratello Thoby, che dal 1889 frequenta l’Università di Cambridge, conosce i discepoli del filosofo G.E. Moore, tra i quali Bertrand Russell, J.M. Keynes, Ludwig Wittgenstein, Lytton Strachey e più tardi Leonard Woolf, che sposerà nel 1912.
    Alla morte del padre nel 1904 – la madre era morta nel 1895 – i fratelli Stephen si trasferiscono nel quartiere Bloomsbury di Londra, dove ogni giovedì ricevono gli amici per discutere di filosofia, estetica e politica, in un ambiente anticonformista e brillante.
    Nel 1905 comincia a scrivere articoli e recensioni per il Guardian e il Times Literary Supplement e nel 1908 lavora al suo primo romanzo che, dopo cinque revisioni, sarà pubblicato nel 1915 con il titolo The Voyage Out (Il lungo viaggio). La sua attività di scrittrice è infatti interrotta da frequenti crisi depressive, culminate in due tentativi di suicidio nel 1904 e nel 1913, che la costringono a lunghi periodi di inattività.
    Dopo Il lungo viaggio inizia un diario che scriverà fino alla morte e lavora al suo secondo romanzo, Notte e giorno, e ad alcuni racconti. Fonda con il marito una casa editrice, la Hogarth Press, che diventerà il centro di sperimentazione per nuovi talenti letterari, come Eliot, Mansfield e Foster.
    Negli anni venti Virginia Woolf scrive molto: dopo la raccolta di racconti Lunedì o martedì comincia a scrivere il romanzo La camera di Giacobbe al quale è legato l’inizio del suo successo. È la volta poi di The Hours che diventerà in seguito La signora Dalloway (1925) e di una raccolta di saggi, The Common Reader. Tra il 1925 e il 1928 scrive Gita al faro e concepisce Le onde che sarà pubblicato solo nel 1931. Nel 1928 esce Orlando, un’opera fantastica ispirata dall’amica Vita Sackville-West, e nel 1929 Una stanza tutta per sé.
    Negli anni Trenta, dopo Flush, vita di un cane inizia Gli anni, che a causa dei numerosi impegni politici e di una biografia dedicata all’amico Roger Fry, sarà pubblicato nel 1937 e la renderà illustre anche negli Stati Uniti.
    L’ultimo romanzo Fra un atto e l’altro non sarà mai pubblicato perché Virginia, a causa dell’aggravarsi della malattia, non riuscirà a rivederlo. Il 28 marzo 1948 spaventata dall’idea di non riuscire più a guarire, si uccide annegandosi nel fiume Ouse.
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Mancini e Vialli si ritrovano

Mancini e Vialli si ritrovano
ROMA – A destra, in campo, Roberto; a sinistra, in panchina, Gianluca: il calcio si diverte a volte a disegnare parabole e destini, a rinnovare incontri e storie. Stasera, ora di cena, stadio Olimpico, Lazio-Chelsea, Champions League, non è solo calcio di classe e soldi, è un’emozione che si rinnova, è un pezzo di pallone nazionale degli ultimi anni. Mancini da una parte, Vialli dall’altra: da avversari. Uno, il primo, a 35 anni, gioca ancora, scavalla, ma sta per dire addio e già pensa a un futuro lontano dal prato verde; l’altro, ha detto basta con dribbling, gol e botte in campo, sta a Londra, fa una vita da borghese, guadagna miliardi, per primo scelse di emigrare quando i calciatori italiani erano fifoni e mammoni, scegliendo la Premier League, il Chelsea, di cui è poi dopo qualche stagione diventato l’allenatore.

Divisi, oggi: amici e compagni e bandiere e stelle e protagonisti e guasconi e tante altre cose quando erano a Genova, alla Sampdoria e i blucerchiati, allenati da Eriksson che ora è alla Lazio (altro destino che si intreccia) insegnavano calcio, vincevano gli scudetti, accendevano la luce e la spegnevano, si prendevano il palcoscenico e tutti a dire “ma quanto sono bravi e straordinari, quei due, accidenti che coppia: uno è genio, l’altro è potenza, Mancio è un’ artista, Luca è cuore e muscoli giocondi”.

A proposito, emozione: è una parola che ricorre spesso, in questa vigilia: “Non fatico ad ammetterlo, incontrarlo non è una cosa facilissima, fatemelo dire, vorrei essere in campo, almeno stavolta”, dice Luca. “Lo sento, ci parliamo spesso, non l’avrei immaginato che ci saremmo trovati da avversari”, replica, facendo un po’ il duro, Mancio, che già pensa a un futuro da allenatore, dopo le tentazioni e i ripensamenti dell’estate scorsa quando era pronto a dire basta e a farsi da parte. Novanta minuti, un tuffo, anche se può sembrare retorica. Novanta minuti e c’è da giurare che le telecamere andranno a pescare volti, ed espressioni. A destra Mancio, a sinistra in panca, Luca. Fischio d’inizio, si parte.

Al di là degli amarcord, ecco Lazio e Chelsea, le prime del loro girone. Eriksson sceglie le due punte, Inzaghi e Mancini, con Nedved e Veron a ridosso; dall’altra parte ecco Gianfranco Zola e il norvegese Flo, mentre a centrocampo e in difesa due vecchie conoscenze del calcio italiano, Deschamps e Desailly.

(7 dicembre 1999)
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Ritornano i cattolici sul trono di Inghilterra?

Ritornano i cattolici sul trono di Inghilterra?


La rottura tra la Gran Bretagna e la chiesa romana
cominciò con la scomunica di Enrico VIII
 LONDRA – In origine ci furono Enrico VIII e Anna Bolena. Poi nel 1701 arrivò l’Act of Settlement, un provvedimento che impedisce a chi è di fede cattolica di salire al trono britannico. Ma ora il governo di Tony Blair potrebbe far cadere un caposaldo della monarchia inglese. Così, dopo l’abolizione dell’ereditarietà nella Camera dei Lords, un’altra piccola rivoluzione investirebbe il potere della regina Elisabetta.

Finora la monarchia non è stata toccata dalle riforme istituzionali messe a punto dal gabinetto Blair nel 1997. Ma non è detto che le cose non possano cambiare. “Questo governo si batte contro ogni tipo di discriminazione e non potrebbe comunque difendere un principio che sia discriminante verso qualche categoria”, ha commentato un portavoce di Downing Street.

Negli anni passati molti esponenti della Chiesa cattolica hanno cercato di fare pressioni perché questo atto venisse annullato, ma non si è mai giunti a nulla. L’Act of Settlement arriva ai tempi della regina Anna, all’inizio del XVIII secolo, per consentire che a lei – priva di eredi – succedesse un protestante della dinastia Hannover, suo cugino Giorgio I. D’altronde la rottura con la Chiesa romana risaliva al 1530: in seguito al divorzio di Enrico VII dalla moglie Caterina di Aragona per sposare Anna Bolena arrivò la scomunica.

Insomma, visto che la Chiesa d’Inghilterra è la religione di Stato, anche il re o la regina devono appartenere a questa confessione. E questo nonostante la presenza di 4 milione 400 mila cattolici tra Inghilterra e Galles e 750 mila in Scozia. Tuttavia se cambiamento ci sarà, sarà abbastanza complesso, perché dovrà riguardare tutti i quindici paesi del Commonwealth.

(11 novembre 1999)
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Gruppi religioni contro Harry Potter

Gruppi religioni contro Harry Potter

Harry vola a cavallo di una scopa, Harry sconfigge i mostri, Harry incontra un mago malvagio. Mistico, magico, il meglio dell’avventura e della fantasia. Sono migliaia i lettori che su Amazon.com ogni giorno scrivono una mini recensione sul loro eroe, Harry Potter. Ma la saga del ragazzino magico che a tratti si tinge di splash con mostri succhia-anime è anche l’ultima vittima di una crociata messa in piedi negli States dalle associazioni di genitori aderenti a gruppi religiosi integralisti. Così, a pochi giorni dall’uscita in Italia di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (edito da Salani), in America qualcuno invoca la censura. Il personaggio nato dalla fantasia della scrittrice britannica Joanne Rowling è in cima alla lista dei bestseller del New York Times e gode degli onori del Time che di recente gli ha dedicato una copertina. In Italia è arrivato lo scorso anno e ha già raggiunto le 25 mila copie di vendita. Nel mondo si parla di tredici milioni di copie per il cofanetto della trilogia – Harry e la pietra filosofale, Harry e la camera dei segreti e l’ultimo “incriminato”. Il libro è già stato tradotto in quasi trenta lingue. E pensare che il piccolo Harry è nato per caso, al tavolino di un caffè. L’autrice ha cominciato a inventare personaggi da quando aveva sei anni: la sua prima creatura si chiamava Rabbit, personaggio di una storia piena di fantasia. E sulle ali dell’immaginazione più sfrenata, tinta anche di horror, Joanne Rowling ha continuato finora. Ha collezionato i nomi più strani, echi di vecchi libri di araldica o di storie medievali, per poi inventare i suoi mondi di parole e quadri surrealisti. Ma è proprio questa ricchezza che oggi fa mettere il ragazzino magico al bando: “Le storie sono intrise di morte, odio, mancanza di valori e cattiveria”, ha detto Elizabeth Mounce, una delle madri impegnate in prima linea nella crociata anti Harry Potter. A guidare la lotta, l’associazione “Bible Belt”. E il provveditorato agli studi della Carolina del Sud ha deciso di prendere in considerazione la richiesta di bando dei tre libri già usciti in America. Protestano persino gli stati tradizionalmente “liberal” come New York e Michigan, dove l’American Library Association ha denunciato i tentativi di alcuni genitori di bandire il libro dalle scuole. Il direttore di un istituto elementare della Georgia ha invitato le maestre a non leggere più testi della Rowling in classe per evitare problemi con le famiglie. Ma i bambini continuano a volare sulla scopa di Harry. Scrive Melissa, dal New Jersey: “E’ il miglior libro per i bambini che amano l’azione e l’avventura. Io ho solo dieci anni, per me è grande e spero che le maestre lo raccomandino agli alunni”. Kelly dal Michigan ha qualche anno in più: “Sono un’adulta ormai, ma lo adoro, chiunque abbia fantasia dovrebbe leggerlo”. Un piccolo australiano lo sfoglia insieme alla giovane mamma: “E’ il libro più bello del mondo”. (16 ottobre 1999) http://credit-n.ru/offers-zaim/webbankir-online-zaim-na-kartu.html http://credit-n.ru/offers-zaim/sms-finance-express-zaimy-na-kartu.html

Elizabeth, il film della regina che sostituì la Madonna

ElizabethElizabeth, il film della regina che sostituì la Madonna

(Tratto dal quotidiano La Repubblica)
di IRENE BIGNARDI    

C’è una bellissima idea alla fine di Elizabeth, il sontuoso e romanzesco biopic su Elisabetta I firmato dall’indiano Shekhar Kapur, e arriva dopo due ore in cui tutto si può dire della grande Elisabetta – qui in versione giovane, visto che il film si ferma non molto dopo il 1554 in cui comincia -, salvo che si tratti di una mammola. Eppure il coup de thêatre che trasforma la bella e giovane eretica protestante nell’icona del potere regale che identifichiamo come Elisabetta è la riscoperta della verginità, o quanto meno del suo potere simbolico.

Accade nel momento in cui la rossocrinita figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, 25enne, protestante, assurta dopo la morte della sorellastra Maria la cattolica – o Bloody Mary – al rissoso e pericoloso trono di un’Inghilterra divisa da un feroce scontro religioso tra cattolici e protestanti, in una corte piena di veleni (non metaforici) e di trabocchetti, si interroga sulla sua difficile situazione e scopre che cosa deve fare. L’ispirazione le viene da una pallida, gessosa statua della Madonna. “Ho liberato l’Inghilterra della sua presenza”, dice grosso modo la giovane regina, capendo al tempo stesso che, agli occhi del suo popolo, deve prendere il posto di quell’intoccabile simbolo – e diventare così, in una spogliazione e vestizione che ricorda la presa del potere di Urbano VIII nel Galileo brechtiano, Elisabetta la Regina vergine.

Prima di questo snodo cruciale, a cui l’australiana Cate Blanchett presta tutta la sua sensibilità e la sua bravura (rinunciando al tempo stesso alla sua tizianesca bellezza per diventare l’astratta maschera bianca della regina), il film di Kapur è una vertiginosa carrellata attraverso un periodo di storia complesso e aggrovigliato, che il regista percorre sulla base della sceneggiatura di Michael Hirst con avventurosa disinvoltura, dando per certe cose che fanno ancora dannare gli storici (sarà stato davvero Robert Dudley, conte di Leicester, nel film Joseph Fiennes, il solo e carnale amore della regina?) e sintetizzando con spiccia efficacia cose molto complicate – che per la verità non sempre si colgono al meglio. E chi vuole farà bene a ripassare chi fossero Filippo di Spagna o il duca di Anjou.

Ma in realtà poco importa il profilo storico: Kapur, che di regine se ne intende (è suo il grande successo indiano Bandit Queen) gira la sua “infanzia di un capo” con sfacciata bravura, arrampicandosi in visioni zenitali, animando chiese e palazzi di un brulichio di complotti e di amori, dipingendo un rinascimento britannico che sembra ricostruito dal Veronese, offrendoci anche qualche brivido erotico (in piedi, come si usa da qualche tempo), una splendida scena di civetteria regale (Elisabetta e i vecchioni) e una sfilata di belle facce e bravi attori: da Richard Attenborough sempre più simile a Dotto, a Fanny Ardant, nel cammeo di Maria di Guisa, bianconerocrinita come Crudelia De Mon, ma più spiritosa.

(9 ottobre 1998)
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